i due direttori del festival Giacomo Biraghi e Luca Ballarini vi anticiperanno alcune novità in programma. Dall’anno scorso Utopian Hours è anche molto concentrato sull’Italia. Dal 13 al 15 ottobre convergerà a Torino praticamente tutta la community italiana di city maker: avremo oltre 120 ospiti ai vari tavoli di lavoro, tra amministratori pubblici, funzionari, aziende e professionisti del settore.
Manca solo un mese al festival. Vi invitiamo a prendere il pass, prima che siano esauriti (ebbene sì, anche la Centrale Lavazza ha un limite di capienza).
Luca. Siamo quasi alla settima edizione di Utopian Hours, Giacomo. Sono contento di dire che il festival di city making e innovazione urbana o, come dici tu, il “festival delle città” che abbiamo creato 7 anni fa stia crescendo ancora, anche all’estero.
Giacomo. Verissimo. Nell’ultimo anno abbiamo partecipato a incontri e conferenze in Europa e oltre, da Londra a Miami, da Pontevedra a Monaco, per presentare l’idea di un Manifesto per un nuovo City Making e in tanti conoscevano già il festival.
L La prima cosa da raccontare è il programma che, con 30 ospiti internazionali e 3 panel, quest’anno è ancora più intenso. Quali sono gli speaker da cui ti aspetti di più?
G Beh, partirei dai grandi temi del presente. Avremo con noi Hubert Beroche, il fondatore di Urban AI, il primo think tank che vuole mettere l’intelligenza artificiale al servizio della vita in città delle persone.
L Altra sfida globale: da Freetown in Sierra Leone arriverà a Torino la prima Chief Heat Officer di una città africana, Eugenia Kargbo. Le chiederemo cosa significa questo nuovo job title e che tipo di risposte può dare sul cambiamento climatico.
G Se parliamo di momenti da non perdere, io mi aspetto molto da Pablo Sendra, autore di Progettare il disordine. Si tratta di un altro grande pensatore sul palco di Utopian Hours, dopo Richard Florida, Amanda Burden, Edward Glaser, Alfredo Brillembourg…
L Sto giusto leggendo il libro di Sendra e confermo, Giacomo: una vera ispirazione per il lavoro che possiamo e dobbiamo fare come progettisti e placemaker, per avere città aperte e spazi pubblici ricchi di diversità e sorprese, aperti al cambiamento.
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